
© Gropperfilm/hr
MARCO DEGL’INNOCENTI
MONACO DI BAVIERA – Un programma tv andato in onda su “Arte”, il benemerito canale culturale franco-tedesco, in seconda serata il 10 giugno, dal titolo evocativo “Bella Ciao”, ha riportato alla luce quello che per la stragrande maggioranza di italiani e tedeschi è ancora un “segreto” della seconda guerra mondiale. Se così si può definire. Perché in effetti segreto non è. Si tratta di un fatto storico, anche se ormai dimenticato da molti: alla Resistenza italiana contro i nazifascisti, tra le file dei nostri partigiani, presero parte anche numerosi soldati disertori della “Wehrmacht”, l’esercito tedesco e delle famigerate “SS”. Le loro vicende sono poco o niente conosciute, soprattutto perché anche dopo la fine del nazismo i reduci tornati in Germania rimasero in silenzio, per non essere puniti come traditori della patria.
Estate 1944: centinaia di migliaia di soldati tedeschi combattevano in Italia contro gli alleati e contro i partigiani italiani. Sempre meno di loro credevano ancora che la Germania potesse vincere la guerra. Molti assistettero alle atrocità commesse da “SS” e “Wehrmacht” contro la popolazione civile del paese occupato. Ed in centinaia – stimano gli storici – presero una decisione ad altissimo rischio: disertare e unirsi ai partigiani italiani.
“Bella Ciao” ricostruisce le storie di tre di loro, attraverso le ricerche intraprese nel nostro paese dai rispettivi discendenti. Le storie dei “partigiani” Rudolf Jacobs, Hans Brauwers e Walter Fischer. Tre storie che hanno avuto come scenario l’appennino a nord della cosiddetta “Linea Gotica” e la pianura padana. E cittadine come Sarzana e Rolo oltre che una grande città quale Torino.
RUDOLF JACOBS – Claudia Höft, per molto tempo non ha saputo cosa fosse successo davvero a suo nonno, Rudolf Jacobs. Ufficialmente in famiglia si diceva che fosse caduto combattendo contro i partigiani italiani. In realtà Rudolf Jacobs, un ingegnere di Brema richiamato come sottufficiale di marina e destinato a sovrintendere alla costruzione di un forte nazista a Lerici, in Liguria, aveva disertato e si era unito ai partigiani dopo la strage di San Terenzo Monti del 19 agosto 1944: 160 civili innocenti sterminati dai soldati di un reparto della 16° divisione corazzata delle SS comandato dal famigerato maggiore Walter Reder, lo stesso della strage di Marzabotto. Integratosi con i partigiani di base nel vicino paesino di Canepari, Jacobs aveva ideato e condotto un assalto rocambolesco quanto disperato ad un reparto di Brigate Nere a Sarzana, dove era rimasto ucciso. E proprio a Sarzana Jacobs è sepolto, nella tomba d’onore dei partigiani e celebrato come eroe nella lotta contro il nazifascismo. A lui, cui era stata conferita dopo la morte la cittadinanza onoraria, è dedicata anche una lapide nel luogo ove fu ucciso. La nonna di Claudia aveva mantenuto il silenzio sul segreto perché temeva di perdere la pensione di vedova di guerra, in quanto ufficialmente suo marito, Rudolf Jacobs, era un soldato tedesco ucciso in Italia. Ma quantomeno il suo liceo, a Brema, continua a ricordarlo perpetuandone l’epopea in Italia.
HEINZ BRAUWERS – Anche Hans Brauwers ha scoperto tardi il segreto del padre defunto. Soltanto dopo aver trovato una cartella con foto e documenti mai visti prima lasciatagli dalla madre prima di morire si è resoconto di quanto suo padre avesse taciuto in vita. Nel 1943 Heinz Brauwers, che in Germania era un poliziotto, era stato inviato in Italia ed inglobato nelle “SS”. In un’unità trasferita a Torino per agire contro i partigiani. Ma anche lui ad un certo punto non riuscì più a sopportare i delitti e le nequizie di nazisti e fascisti contro la popolazione civile italiana. L’incontro in un bar di Torino nell’inverno del 1944 con il comandante partigiano Alvaro Camosso fu la premessa per entrare nel suo gruppo. Poco dopo venne ufficialmente nominato partigiano, membro della XIX brigata della 1a divisione comunista “Leo Lanfranco”. Con tanto di documenti ufficiali che ancora esistono. Come una foto che mostra Heinz Brauwers in un’auto scoperta accanto al comandante Camosso nei giorni della liberazione di Torino. Tornato in Germania si rese conto di non essere più benvenuto dopo il suo passato di partigiano in Italia. Ma riprese il suo posto nella polizia. Custodendo però il segreto sul suo passato nel timore di poter essere sottoposto, a sua volta, a ritorsioni. “Questo mentre tanti tedeschi notoriamente nazisti, anche responsabili di atrocità in guerra, hanno continuato a mantenere posizioni importanti anche nella Germania del dopoguerra”, ha osservato con amarezza il figlio Hans.
WALTER FISCHER -Tra Torri del Benaco, su Lago di Garda e Rolo, cittadina in provincia di Reggio Emilia, si sviluppò la vicenda del cartografo militare Walter Fischer. Da sempre insofferente al regime nazista, il soldato tedesco era riuscito ad avvicinarsi ai partigiani, come ha faticosamente ricostruito nel suo viaggio in Italia suo padre Joachim. Messo sotto processo proprio per le sue eccessive “simpatie” per i civili italiani, tanto che a Torri del Benaco lo chiamavano “il buon tedesco”, Fischer riuscì a sfuggire alla condanna al carcere militare di Verona e in abiti civili aggiunse Rolo, dove incontrò il comandante partigiano Agostino Nasi. Il 27 maggio 1944 diventò a sua volta ufficialmente partigiano con regolare documento di identità. Il 15 aprile 1945, poco prima della fine della guerra, un’unità di combattenti per la resistenza di Rolo venne sorpresa, dopo un’azione, dalle Brigate Nere fasciste. Tutti i partigiani furono uccisi. Pochi giorni dopo Rolo fu liberata. Una foto ritrae proprio Walter Fischer che in testa al corteo dei funerali dei compagni uccisi portava una corona di fiori. Il grafico Fischer avrebbe voluto vivere il Italia per sempre. I sui amici partigiani– anzi, addirittura l’A.N.P.I., esistono le ricevute attestanti i versamenti – pagarono per lui l’iscrizione all’Accademia di Belle Arti di Modena. Nell’archivio dell’istituto ci sono ancora il registro con il suo nome ed i suoi voti. Sarebbe voluto restare in Italia, Walter. Avrebbe voluto proseguire lì il suo percorso di artista. Ma dovette tornare a Chemnitz, la sua città natale in quella che era diventata la DDR, perché a Modena era stato costretto a confrontarsi sempre più con un ambiente ostile ai tedeschi rimasti in Italia, anche quelli che erano stati considerati eroi della resistenza. Fischer, però, ha lasciato preziosi ricordi tangibili ed indelebili in quei posti tanto amati: persino il municipio di Rolo conserva alcuni suoi quadri.
Il documentario – firmato da Christian Gropper e Carla Ronga – è un racconto molto interessante dal punto di vista storico, ma anche assai emozionante. Un viaggio in un drammatico passato ricostruito con pazienza e precisione, documentato quanto possibile con materiale fotografico, attestati scritti e testimonianze, ma senza indulgi a retorica o sentimentalismi. In Germania è andato in onda, ovviamente, in tedesco. In Italia si potrà vedere – per un anno – esclusivamente in streaming Internet sul sito italiano di Arte.tv. La voce narrante è in italiano, gli spezzoni in tedesco sono sottotitolati nella nostra lingua.
Questo il link: https://www.arte.tv/embeds/it/116019-000-A?autoplay=true&mute=0