(dalla Bild dell’11 gennaio 2024)
DI MARCO DEGL’INNOCENTI
MONACO DI BAVIERA – Non è certo una scoperta, ma forse per il grande pubblico sì: prodotti alimentari italiani in vendita all’estero, specificatamente in Germania, che proprio italiani al 100 per cento non sono. Niente di irregolare, comunque. Tutto secondo le vigenti normative. E nessun pericolo per la salute dei consumatori. Come, ad esempio, quanto accade – o sarebbe meglio dire accadrebbe – per i pomodori contenuti nei barattoli di conserva in vendita nei supermercati. La “Bild” lancia un vero e proprio allarme: «I pomodori sono spesso dalla Cina invece che dalla Bella Italia».
Il maggior quotidiano della Repubblica Federale premette che proprio i pomodori sono l’ortaggio preferito dei tedeschi, che nel 2021 e nel 2022 ne hanno consumati ben 30,5 chilogrammi a testa. Ma delude i suoi lettori che «sbagliano davvero, se pensano di trovare nelle lattine in mostra sugli scaffali per la loro salsa sui maccheroni succosi pomodori italiani. Spesso ci sono dentro pomodori dalla Cina!». Già, perché, anche se sembrerebbe incredibile, la Cina – riferisce il giornale – è il maggior produttore del rosso ortaggio al mondo: nel 2021 ve ne sono stati raccolti ben 67 milioni di tonnellate. Per fare un raffronto – aggiunge il quotidiano – nello stesso anno in Germania la raccolta è stata di circa 100 mila tonnellate: «Gran parte dei pomodori cinesi viene esportati in Italia. E trovano la loro strada nei supermercati tedeschi come “Pomodori in lattina dall’Italia”. Ed è tutto legale».
Perché, spiega ancora l’articolo: «Soltanto quando la confezione riporta “100% di pomodori italiani” questi arrivano anche dall’Italia. Mentre invece “Hergestellt in Italien/Prodotti in Italia” significa: i pomodori lavorati non devono provenire dall’Italia. Dall’Aprile 2020 vale la regola che l’ingrediente principale debba provenire dal paese che viene indicato, ma non per la sua totalità».
A conclusione del suo pezzo il giornale cita una funzionaria della centrale tedesca dei consumatori che, lamentando a sua volta questa realtà di fatto, lancia un appello alle autorità competenti: «Chiediamo che l’intera catena di produzione appaia sulle etichette».