
MARCO DEGL’INNOCENTI
MONACO DI BAVIERA – Dopo aver letto la notizia della scomparsa di Furio Colombo il mio sguardo è andato istintivamente alla libreria del mio studio. Cercavo un volume e dopo pochi secondi – la mia non è una biblioteca sterminata – l’ho trovato: copertina azzurra, bandiera con la stella di Davide in evidenza: “Per Israele”, il titolo.
Un libro – uscito nel 1991 per i tipi di Rizzoli – di cui poco (o nulla, a meno di mie distrazioni) si è parlato nelle numerose commemorazioni del grande giornalista, scrittore, politico, manager deceduto all’età di 94 anni. Forse perché, come ben evidenziato nella controcopertina, si tratta di un testo “controcorrente su Israele, i Palestinesi e l’area conflittuale del Medio Oriente. Invece di partire, come la grandissima maggioranza della pubblicistica italiana, dal processo a Israele e alle sue presunte colpe, il libro ne è una difesa”.
Non voglio, però, dilungarmi sull’opera. Ma sul come e perché lo stesso Colombo me la regalò. Raccontando un drammatico episodio, anche questo poco ricordato, che riguardò direttamente il giornalista e nel quale fui in un certo senso, sia pur per fortuna molto indirettamente, coinvolto anche io.
Furio Colombo è stato uno dei pochi al mondo ad essere scampato – e praticamente illeso – ad un drammatico incidente aereo.
Era il 25 settembre 1991, la telefonata da Torino, Corso Marconi, mi raggiunse mentre mi trovavo nel mio ufficio di responsabile della comunicazione del Gruppo Fiat in Germania, a Francoforte. Mi avvertivano che un jet executive era precipitato a Kiel, nord del paese, e che tra i passeggeri c’era Furio Colombo, a quel tempo anche chairman di Fiat USA a New York. Da Torino mi tranquillizzarono dicendomi che il “collega” era in buone condizioni, ma mi fu chiesto di recarmi subito a Kiel per tenere sotto controllo la situazione e mettermi a disposizione di Colombo. Ovviamente partii all’istante.
Nel frattempo erano stati noti diversi particolari dell’incidente. Un bireattore privato “Falcon 20” decollato da Milano, forse a causa del maltempo o per un errore umano, dopo essere atterrato “lungo” sulla pista del piccolo aeroporto di Kiel-Holtenau, si era schiantato in un boschetto ai margini della pista stessa, spezzandosi in due tronconi. Molto pesante il bilancio: morta una ragazza italiana di 25 anni e dieci feriti, dei quali un’altra giovane donna, con lesioni talmente gravi che avrebbe perso l’uso delle gambe. I passeggeri facevano parte di una troupe di Rai 3 che avrebbe dovuto assistere Colombo nell’intervista televisiva ad un noto personaggio politico dell’epoca, Björn Engholm, esponente di punta della socialdemocrazia tedesca e allora presidente del Land Schleswig- Holstein.
Quando entrai nella stanza dell’ospedale civico di Kiel mi aspettavo di trovare un paziente quantomeno bendato, immobilizzato, se non peggio. Invece Furio se ne stava seduto sul suo letto, discorrendo tranquillamente al telefono con qualcuno in Italia. Non aveva alcun segno visibile di quello che era successo salvo leggeri ematomi sul volto. Le telefonate dall’Italia non finivano mai, Colombo parlava con voce tranquilla, espressione rilassata e sorridente. Tirai un sospiro di sollievo. In una pausa delle sue conversazioni, dopo le presentazioni, chiesi all’illustre giornalista cosa avrei potuto fare per lui. Praticamente nulla, mi rispose, era assistito al meglio e stava bene. Avrebbe, però, gradito degli accessori da toilette. Così feci un salto in un grande magazzino e comprai qualcosa che gli potesse essere di conforto. Tornai in ospedale e rimanemmo qualche decina di minuti a parlare del più e del meno. Dell’incidente non mi raccontò nulla. O non volle farlo.
Lo lasciai dopo essermi assicurato con i medici delle sue buone condizioni, lo avrebbero dimesso ben presto e andai sul luogo dell’incidente. A quel punto fui quasi io quello che avrebbe avuto bisogno di un ricovero in ospedale: lo spettacolo che mi trovai di fronte era spaventoso. Il jet spezzato i due e adagiato su una ripida scarpata lungo il terrapieno sul quale si stendeva la pista. Fortunatamente l’aereo non si era incendiato. Da alcuni funzionari dell’aeroporto e dalla polizia venni a sapere che Colombo era stato estratto cosciente e soltanto un poco dolorante.
Qualche tempo dopo mi arrivò un pacchetto con il libro “Per Israele” che aveva una dedica: “con amicizia ed il ringraziamento più vivo”. Peccato, non siamo potuti diventare veramente amici, Furio Colombo ed io, perché da quel giorno nell’ospedale di Kiel non ci siamo più rivisti. Ma ho deciso di rileggere il libro Quasi 35 anni dopo. Forse oggi ancora più attuale.